La scuola di oggi

Mi ha colpito una recente affermazione di Loris Dall’Acqua sulla missione della scuola:

“Se la scuola ‘sforna’ generazioni di giovani diplomati che non sentono il desiderio di andare a votare, che non hanno maturato sensibilità per l’ambiente, che non conoscono il proprio corpo e che quindi non sono in grado di prendersene cura adottando un corretto stile di vita, che non sentono necessità di visitare mostre e musei, siamo sicuri che la scuola non abbia fallito la sua missione?”.

Rileggendola a distanza di qualche mese provo un senso di inquietudine e mi interrogo: la scuola riesce a svolgere bene la sua funzione oggi?

Sembra quasi un paradosso. Viviamo nell’epoca in cui internet ha reso possibile un’apertura senza eguali agli stimoli e alla varietà del mondo. Costantemente connessi, siamo ovunque in ogni istante. Sappiamo tantissime cose, i nostri bambini e ragazzi sono potentemente istruiti su tutto, spesso ne sanno più degli insegnanti, ma sono già assuefatti al mondo, annoiati, incapaci di accendersi per un’esperienza nuova, poco disposti alla fatica dell’apprendere, a una manovalanza del pensiero che chiede tempo gratuito e grande disponibilità a vivere la straordinaria compagnia di un libro, ad entusiasmarsi per un’opera d’arte, per un concerto di musica classica.

La situazione della scuola oggi

Ritengo sia d’obbligo un’autoanalisi onesta del nostro modo di vivere e far vivere la scuola ai nostri bambini e ragazzi. Cosa dobbiamo cambiare o rinnovare perché il valore della cultura veicolato dal nostro fare scuola sia sempre più recepito come qualcosa che ha a che fare con la vita?

Sentiamo tutti la necessità di un “nuovo” che ha bisogno di entusiasmo, vivacità e creatività. Impegnarci nella scuola in tal senso significa fedeltà al carisma salesiano che passa anche attraverso la messa in campo di energie rinnovate, di una progettualità che coraggiosamente propone mete culturali, e dunque umane e spirituali, alte.

In questo momento c’è grande confusione sotto il cielo, una quantità infinita di proroghe sta spostando in avanti provvedimenti decisivi per la scuola italiana.

Il nostro modello scolastico è ormai pericolosamente disconnesso dalla società, i nostri curricoli sono in crisi  da anni. Non si sa più cosa insegnare, cosa attendersi dalla scuola del XXI secolo. Il sapere scolastico canonizzato e tenuto più o meno in vita finora non convince più. Lo si deve aggiornare. Ma come? In Europa si sta facendo tanto. E da noi?

I bambini e i ragazzi che entrano ogni giorno nelle nostre scuole e nelle nostre aule ci stanno mostrando in modo sempre più evidente la poca pertinenza della nostra didattica alle esigenze della loro vita e del loro apprendimento. Stiamo toccando con mano l’insostenibilità, per tanti motivi, del nostro “far scuola” oggi, sentiamo che insegnare è sempre più una sfida complessa e articolata che chiede a noi insegnanti competenze immediatamente spendibili in classi eterogenee, non solo per numerosità di alunni, quando ci va bene, ma anche dalla pluralità dei bisogni, delle culture, dei contesti di provenienza, spesso segnati da ferite familiari ed emotive importanti, dei valori e delle istanze educative e formative che richiedono approcci adeguati per i quali è sempre più necessario operare attraverso il dialogo e la mediazione.

La tendenza dei nostri alunni e, più in generale delle nuove generazioni, è sempre più quella di imparare ricercando, esplorando, cooperando; queste modalità non possono più convivere con un modo di fare scuola tramite lezioni frontali incentrate sull’autorità del testo e su nozioni da assimilare individualmente per “assorbimento” o attraverso la dinamica stimolo-risposta.

E ci rendiamo conto che non basta un tablet o una LIM per fare la scuola, ma che i bambini e i ragazzi vanno accompagnati e vanno continuamente sorretti impegno, motivazione, curiosità.

Ho bisogno di immaginare una scuola diversa, più pertinente e coerente alle esigenze della vita di oggi. Una scuola che sa essere interessante, entrare dentro la vita dei ragazzi, dare loro il gusto e la soddisfazione delle cose imparate con la fatica e l’impegno di tutti i giorni.

Possiamo ancora sperare in una scuola diversa?

Ho bisogno di immaginare che presto verrà una scuola in grado di dare ai ragazzi il “senso” di ciò che imparano – il senso è come l’ossigeno per l’apprendimento -, di accendere il desiderio, la motivazione.

Come? Stimolando l’assunzione degli obiettivi di apprendimento, cioè aiutando i ragazzi a riformularli in obiettivi personali, a ridirli in modo rilevante per la loro vita (life skills); questo fa sì che l’alunno senta che quell’apprendimento è qualcosa di desiderabile per lui, fa scattare delle aspettative, crea le condizioni per apprendimenti nuovi, trova agganci con la vita. Gli oggetti culturali che incontrano, ovvero le discipline devono trovare agganci con la vita, la conoscenza deve entrare nella vita di chi apprende; l’insegnamento deve “sedurre” non per attirare a sé ma per far innamorare della cultura, per spalancare orizzonti.

Una scuola che valorizza e stimola la creatività, l’immaginazione dei ragazzi, una scuola in grado di scatenare delle passioni, dei sogni, di interrogare la vita, di proporre meno oggetti e più progetti, è una scuola che ha ancora qualcosa di bello da dire. Sì, perché anche un bambino ha delle passioni, ha dei sogni e attende che qualcuno, un maestro, una maestra, ponga le condizioni favorevoli al loro nascere.

Purtroppo anche le nostre pratiche didattiche inducono spesso al divorzio tra rito e senso, tra parola e vita, tra regole e libertà. Sono profondamente convinta che i bambini, i ragazzi, cercano maestri capaci di porre loro grandi mete e limiti, confrontandosi con i quali, possono provare la consistenza di principi su cui fondare le proprie esistenze ancora informi.

Occorre tanta formazione, occorre osare un progetto educativo di qualità, occorre pensare, riflettere, conoscere, ricercare, interpretare, de-costruire, ricostruire insieme nuovi significati, servono docenti che siano disposti a vivere la propria vicenda professionale con una dose ulteriore di passione umana e culturale oltre che ricchi di competenza educativa, didattica, organizzativa.

A livello pedagogico, didattico, culturale significa per noi fare bene scuola, cercare di fare della nostra scuola uno spazio di vita accogliente, inclusivo, efficace, sia per chi ha talento sia per chi fa più fatica.

Il Convegno internazionale promosso dall’ADI (Associazione Docenti e Dirigenti italiani) e che si terrà a Bologna questo mese di febbraio, ha un titolo interessante: Graffiti: tracce della scuola che verrà. Titolo quanto mai opportuno perché non sappiamo quale sarà la scuola di domani. Un fatto però è certo: ci sono prospettive aperte, si stanno delineando degli snodi per un possibile cambiamento di mentalità, ci sono segni che preannunciano tendenze e opportunità.

Il nuovo anno ci trovi tutti impegnati a cogliere con intelligenza e grande sensibilità questi segni e di tradurli a livello operativo con passione, professionalità e competenza.

 

Prof. Marta Checchin

(Coordinatrice didattica Scuola Primaria)

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