I racconti dei nostri ragazzi

Pubblichiamo qui di seguito i racconti vincitori del concorso  “L’uomo dalle braccia doro” organizzato dall’Avis di Conegliano.

I DONI DELL’AMORE

Si narra ci fosse un tempo lontano in cui il Sole e sua moglie, la Luna, vivessero insieme, uno accanto all’altra, al centro della Via Lattea.

I due si amavano profondamente, tanto che Dio decise di soddisfare il loro unico e grande desiderio: donò loro una splendida figlia che essi chiamarono Terra.

Terra cresceva di giorno in giorno e a poco a poco in essa si svilupparono altre piccole meravigliose creature: piante, animali e infine uomini.

Tutti gli esseri viventi, in perfetta armonia, godevano del cibo e delle risorse che Terra donava loro.

Sole e Luna, felici e orgogliosi, sorvegliavano e proteggevano la loro figlia prediletta.

Il piccolo pianeta amava giocare e si divertiva a fare il girotondo intorno ai suoi genitori, ma accadeva che in alcuni momenti, roteando, una parte della sua superficie fosse in ombra, perché rivolta verso l’Universo infinito, lontana dallo sguardo amorevole di mamma e papà.

Quando Terra era illuminata si sentiva tranquilla e sicura, ma quando era al buio aveva paura e con lei tutte le sue creature che se ne stavano nascoste e in silenzio.

Sole e Luna si consultarono e presero la difficile decisione di separarsi per donare alla figlia, in ogni ora del giorno, almeno un bagliore di luce.

Mamma Luna si allontanò dall’amato marito e si posizionò alle spalle della figlia.

Così, durante il dì, il Sole la illuminava con i suoi caldi e potenti raggi, mentre durante la notte, la Luna la rischiarava con il suo tenue e rassicurante chiarore.

I due sposi, uniti dal profondo affetto per la loro figliola, continuarono ad accudirla lontani l’uno dall’altra.

Solo per brevi istanti il Sole e la Luna potevano ricongiungersi e rinnovare il loro eterno amore colorando Terra con le luci dell’alba e del tramonto.

Luca Dal Bo’ di 1^A – Progetto internazionale – Scuola Secondaria di Primo Grado

NIENTE È IMPOSSIBILE

Era una fredda giornata d’inverno di circa due anni fa. Io, i miei genitori e mia sorella. Che aveva solo due anni, stavamo tornando a casa dopo una cena al ristorante. Erano circa le 21.00, quando all’incrocio vicino a casa mia un ragazzo ubriaco non vide il semaforo rosso e passò a tutta velocità. Mio papà era ormai al centro dell’incrocio: cercò di evitare l’altra auto, ma ormai era troppo tardi. Sentii i miei genitori urlare, poi un rumore simile ad un’esplosione. Non ricordo bene se avevo la cintura di sicurezza allacciata, probabilmente no perché i soccorritori mi trovarono senza sensi, alcuni metri distante dall’auto, immersa in una pozza di sangue.

Avevano tutti perso la speranza che io sopravvivessi, ma tre giorni dopo mi svegliai. Non capivo bene dove mi trovavo: di certo non era la mia camera, perché quella stanza era tutta bianca e il letto era grigio chiaro. Avevo una flebo nel braccio sinistro, il tubicino era collegato ad una sacca piena di sangue, invece il mio braccio destro era legato al bordo del letto perché era rotto. Sentivo un dolore acuto che partiva dalla testa e arrivava al bacino. Sotto di esso non sentivo più niente: provai a muovere le dita dei piedi, ma non ci riuscivo. Avevo tagli ovunque. Presa da panico schiacciai il pulsante dove era raffigurata una donna stilizzata. Dopo pochi attimi arrivò correndo una giovane infermiera. Le chiesi cosa fosse successo e dove fossero i miei genitori e mia sorella. Mi spiegò l’accaduto. Poi chinò il capo e, guardando il pavimento, disse che la mia mamma si era rotta una spalla e aveva profondi tagli nel lato destro della testa ma, dopo aver subito un intervento, stava un po’ meglio. Il mio papà aveva perso molto sangue e aveva tante fratture: il braccio sinistro gli era stato amputato. Io stessa, mi raccontò l’infermiera, avevo rischiato di morire a causa del sangue perso. Mi avevano salvato le trasfusioni ricevute. Purtroppo però, a causa di diversi traumi alle vertebre, ero paralizzata dal bacino in giù. In quel momento non capivo bene cosa diceva l’infermiera: ero ancora confusa a causa di un brutto colpo alla testa. Tuttavia non mi era sfuggito che non avesse detto nulla della mia sorellina. Non esitai a chiederglielo, ma non mi rispose. Chiesi ancora e ancora. Ebbi la risposta che temevo sottovoce. Non capii subito. Solo dopo un poco cominciai a piangere. Non potevo immaginare la vita senza la mia piccola sorellina. Piansi per giorni. Non riuscivo a pensare ad altri che a lei.

Dopo una settimana chiesi all’infermiera come fosse morta mia sorella. Mi disse che anche lei aveva perso molto sangue, troppo e non c’era stato nulla da fare. Seppi anche che tutto quello trasfuso a me era arrivato dalle donazioni, dai volontari che offrono il loro sangue per gli altri.

Ancora oggi provo un profondo senso di gratitudine per coloro che donano il sangue e che aiutano le persone in difficoltà che rischiano di morire.

I successivi furono mesi difficili: la sofferenza, la riabilitazione, la sedia a rotelle. All’inizio ero molto triste: non potevo più salire le scale o semplicemente camminare. Soprattutto non avrei più potuto montare il mio cavallo. Tuttavia, grazie al sostegno dei miei genitori e dei miei amici sono riuscita ad affrontare le difficoltà e grazie ad un insegnate speciale sono riuscita a tornare in sella a Windstorm. Niente è impossibile.

AngelicaRagazzon 3^A – Scuola Secondaria di Primo Grado

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