ERASMUS + | Lo sport di scuola!

Mi è stata data la grande opportunità di partecipare al progetto Erasmus+, per svolgere una settimana di formazione in lingua inglese, riguardante il tema dell’istruzione anglosassone, e dei momenti di Job Shadowing grazie ai quali abbiamo assistito dal vivo ad attività didattiche presso istituti scolastici del luogo.

Ritengo che i momenti in cui siamo entrate realmente a contatto con i ragazzi in classe siano stati i più formativi, in quanto abbiamo potuto osservare in prima persona le metodologie usate dagli insegnanti del posto.

Mi è piaciuto il fatto che la maggior parte delle lezioni a cui ho assistito sono state svolte in modo interattivo cercando di coinvolgere il più possibile gli alunni anche dal punto di vista emotivo.

Per quanto riguarda la mia materia nello specifico, ovvero educazione fisica, ha una valenza totalmente diversa se paragonata a quella italiana, ho evidenziato quindi dei pro e dei contro. Ritengo un fattore positivo il fatto che gli studenti possono fermarsi a scuola e frequentare la squadra dell’istituto, aumentando dal mio punto di vista il senso di appartenenza alla propria scuola, questo però comporta sicuramente la necessità di avere delle strutture che permettano di svolgere determinati sport.

Quando sono arrivata alla St Mary Redcliffe and Temple School ho notato la presenza di un campo da calcio in erba esterno (in cui la squadra femminile di calcio si stava allenando sotto la pioggia), un campo da calcetto esterno, una piscina e una palestra coperta in cui c’erano circa due campi da pallacanestro, strutture che in Italia sono sicuramente difficili da avere. L’aspetto che più mi ha turbata però è stato il fatto che i ragazzi durante le ore di Physical Education vengono divisi in più classi sulla base sia del sesso che delle capacità motorie, questo lo ritengo sicuramente una facilitazione per l’insegnante che si trova una classe più omogenea a cui insegnare, ma anche discriminatorio e poco inclusivo per i ragazzi che vivono questa divisione.

Un altro aspetto che ritengo sicuramente positivo e decisamente importante per la vita e la sicurezza di ogni bambino è il fatto che tutti devono saper nuotare per almeno 25 metri entro la fine della Primary School (11-12 anni).

L’adesione a tale progetto è stata sicuramente un’esperienza formativa unica perché ha dato la possibilità di mettermi in gioco sia nel campo umano che professionale e mi ha dato l’opportunità di instaurare relazioni significative, rinforzando il senso di appartenenza alla comunità educante, nonché di acquisire competenze linguistiche utili alla vita professionale.

Da questa esperienza mi porto a casa metodologie e strategie nuove da adottare con i miei alunni nella speranza di riuscire a coinvolgerli e appassionarli il più possibile all’educazione fisica.

 

Silvia Berti

Docente di Educazione Fisica

Condividi l'articolo: