Dalla paura del contagio al coraggio del con –tatto

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Dall’incontro di formazione genitori a cura della dott.ssa Sonia Marcon, psicologa, psicoterapeuta e docente IUSVe

Tutti noi possiamo aver sperimentato e sperimentare ancora oggi stati d’animo e reazioni derivanti dall’evento traumatico vissuto negli ultimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria. Cosa ci accomuna? Pensieri, stati d’animo, reazioni emotive, comportamentipiù o meno piacevoli e utili, ma sempre e comunque importanti.

Alberto Pellai ci dice che l’esperienza che abbiamo vissuto occorre «riattraversarla, col potere che ha la memoria di rivivere ciò che è stato, per farne tesoro. Per capire se questo tempo così stropicciato ci ha insegnato qualcosa. Questo è quello che fa la storia. Tiene traccia di tutto. E lo trasforma in memoria. Permettendoci di imparare. Per tenere tutto ciò che serve. E non ripetere ciò che invece è stato fonte di un dolore sterile. Perché il dolore può essere anche fertile. Quando il dolore si fa fertile, non solo c’è elaborazione. C’è anche evoluzione.»

Da alcuni dati emerge che nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore ai 6 anni (fino ai 18) sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di regressione.

Quindi come genitori… cosa si può fare?!

Innanzitutto avere cura di noi stessi: nel corpo, nella mente, nel cuore; usando ragionevolezza e saggezza anche nell’equilibrio dell’esposizione mediatica e nell’attenzione alle fake news. E poi avere cura di tutto ciò che sta attorno a noi, coltivando la fiducia e rinforzando per esempio il senso di unione e collaborazione tra genitori e docenti.

Poi osservare i propri figli: come vanno a scuola? Sciolti o tesi?

E infine curare soprattutto i basilari dell’educazione: la colazione, il sonno, l’igiene, la collaborazione in casa; favorire quanto più possibile favorire la vita all’aria aperta e il gioco spontaneo e di movimento; dare informazioni veritiere e chiare, senza allarmismi; richiamare le norme ma senza essere assillanti e ansiogeni; rassicurare sul fatto che è una situazione temporanea; e soprattutto curare il dialogo in termini di tempo e di qualità.

In tutto questo sappiamo che i genitori sono chiamati a diventare allenatori emotivi, innanzitutto rispettando le proprie emozioni ascoltandole, accettandole e comprendendone la ragione. Ma allo stesso tempo non temendo di mostrarle sapendo valutare come, quando e quanto in modo da non “scaricare o sfogare” ma essendo autenticamente presente nella relazione, confrontandosi con qualche altro adulto per comprendere le proprie reazioni emotive. A questo punto il vero allenatore è in grado di stare davanti alle emozioni dei figli dando valore a tutto ciò che viene espresso, legittimando le emozioni ma non tutti i comportamenti. Il segreto è riconoscere nella situazione emotiva un’occasione di relazione educativa e di intimità, aiutando a trovare le parole e i modi più adeguati per esprimere il mondo interiore e soprattutto incoraggiando e rassicurando accogliendo gli errori come opportunità di miglioramento.

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